Pietro Vicari

Lettore e scrittore
 

Molti chiedono, con un filo di perfidia, perché ci si debba mettere a scrivere e, colpa quasi maggiore, addirittura voler pubblicare, mendicare una qualche attenzione da editori distratti o soverchiati da una immensa quantità di richieste. Come se di libri e libelli disponibili nelle librerie, ormai poco frequentate, e nelle varie piattaforme digitali ce ne siano già troppi.

E allora? Al rogo, al rogo? 

Esprimersi, immaginare, narrare può mai essere troppo? 

Gesualdo Bufalino, che si definiva collezionista di ricordi e seduttore di spettri, diceva che si scrive per guarire se stessi, per sfogarsi, per lavarsi il cuore. Non so, ma il gioco tra ricordi e finzione mi ha sempre affascinato e quindi, potrei dire, nell'esercizio dello scrivere tutto parte dalla memoria affinché la vita non sia un episodio e basta..

I ricordi di bambino mi portano alle lunghe giornate dell'estate siciliana, in campagna. Negli anni Sessanta, villeggiavamo a Fontanarossa da metà giugno a tutto settembre, in una casa disegnata bizzarramente da uno zio, tra pini e terra arsa dal sole, al tempo alquanto isolata. 

Un luogo che risultava magico perché accendeva l'immaginazione. 

 Era lì che spesso volgevo lo sguardo verso la vetta del Monte Erice, convinto che l'abitassero antichi guerrieri, maghi, streghe e poi nobili, gente sofisticata, di antico lignaggio, con i loro servi e le loro figlie bionde e bellissime.

Noi popolani abitavamo più in basso a Fontanarossa, appunto, o a Valderice, a Fico, scuri di carnagione, con panni un po' laceri e d'estate diventavamo neri come la pece.   

Sul costone verso il mare c'erano i resti di un vecchio osservatorio, quelli di un chiosco musulmano, poche abitazioni rurali di gente semplice, che ricordo molto cordiale e rispettosa verso mio nonno. 

Senza luce elettrica, e la notte con il lume di alcune candele e di un paio di lampade a olio, c'era tutto il tempo per potersi inventare storie, racconti, favole e così farsi compagnia nelle lunghe serate sulla grande veranda orientata all'orizzonte, tra i luccichii delle stelle e dei piroscafi in mare. 

Le storie che mi piacevano di più ce le raccontava lo zio Gianni. Lui era un vero marinaio, aveva navigato in diversi mari, conosceva Asia e Africa, aveva fatto la guerra e si era salvato. Ricordo la sua voce allegra e affettuosa, il mio continuo stupore nell'ascoltarlo. 

Di giorno, il cielo era di un azzurro carico nonostante il sole brillante e invadente; il caldo ad agosto era soffocante. 

Noi bambini volgevamo lo sguardo giù verso il mare e giocavamo a immergerci e rinfrescarci nell'acqua tuffandoci su vecchi lenzuoli adagiati sotto tre alberi di pino, dove ci portavamo su i sassi e li scambiavamo per pesci. 

Come non continuare a fantasticare, anche di giorno, come non immaginarsi di tutto, mille vite, mille avventure e mille sogni. 

Memoria e finzione, memoria e finzione.

E poi? 

Quella casa di campagna fu venduta, dovette essere venduta. Ricordo ancora i miei pianti, io dodicenne con il terrore di aver smarrito per sempre i miei sogni, i miei pensieri migliori, il mio luogo, le mie illusioni. 

Credo che fu la rassegnazione per quella mancanza che mi portò, per vari decenni, ad allontanarmi dalla Sicilia, alla continua ricerca di un altrove che avrei continuamente smarrito.

Poi, un giorno, ci si scopre adulti, con inaspettato tempo libero e si ritrova il coraggio di tornare a fantasticare; leggere è come se non bastasse più: ora si può osare, ora si può tornare, oserei dire, a giocare con i propri ricordi.

Rispetto all'adolescenza, ora ci sono le esperienze vissute, i viaggi, i sentimenti, i figli, i nipoti, l'amore ritrovato per la Sicilia, la possibilità di esplorare navigando con la fantasia in un mondo più ricco di luoghi e di persone, donne e uomini.

Tornare, ma stavolta per fissare i propri sogni, i propri spettri, le proprie emozioni. Scrivere affinché tutto resti e qualcuno decida di viaggiare con me.  

A te, sconosciuta lettrice, sconosciuto lettore, amica o amico, il dono della mia memoria e della mia finzione, saranno i nostri compagni di viaggio.